La Meglio Gioventù Calabrese in cinque atti

Determinati, talentuosi, creativi e attaccati alla loro terra, ecco la Meglio Gioventù calabrese, quella che sta facendo la rivoluzione a modo suo, ai fornelli, che sta aprendo alla Calabria nuovi orizzonti nell’alta ristorazione nazionale.

Luca, Nino, Orazio, Bruno, Gennaro sono i protagonisti, ma possiamo ben conferire loro il titolo di “eroi”, di una generazione del sud che vive nel bilico esistenziale tra la mancanza di prospettive nella propria regione e la voglia di dare una risposta allo stato di crisi. Quasi tutti under 30, hanno trovato il trampolino di lancio nel piatto. Del loro talento ne abbiamo avuto prova alla cena promossa dall’Ais di Catanzaro e da Slow Food Calabria al ristorante Le Palme di Catanzaro. Cinque diverse prospettive sul territorio, cinque modi di interpretare le origini. Ciascuno ha firmato una sintesi della propria scommessa.

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Dall’entrée al dessert, il menu ha offerto lo spaccato di un fermento culinario e artistico di altissimo livello. Tutt’altro che alle prime armi, i giovani chef hanno dimostrato al contrario grande tecnica, capacità di padroneggiare materia prima e fantasia. Portano anni di gavetta e di studio sulle spalle, si sono fatti le ossa girando per l’Italia, affiancando maestri e mentori dell’alta cucina, grandi nomi della ristorazione e dell’arte pasticcera. E ancora ora proseguono il percorso di formazione, per qualcuno lontano da casa. Hanno scelto la strada più congeniale alle proprie corde ma tutti e cinque stanno affrontando il lavoro con la stessa determinazione e filosofia di vita: non mollare, guardare avanti, perfezionarsi il più possibile.

E questa tempra è emersa dalle loro creazioni, emozionante e disarmante a tratti. Ciascuno ha proposto una ricetta, presentata al parterre di palati esperti come un biglietto da visita, affresco del loro genio creativo. Dal mare alla terra, i sapori della Calabria sono stati indagati e poi valorizzati in performance giocate sull’assonanza o sul contrasto.

Grande equilibrio e raffinatezza nell’antipasto firmato da Luca Abbruzzino, anni 25. Figlio d’arte, erede della della sapienza culinaria del padre Antonio Abbruzzino, chef patron di Alta Cucina Locale di Catanzaro, uno dei grandi dello scenario gastronomico calabro. Luca ha concentrato una visione poliedrica del gambero con la sua Amatriciana “o quasi” di gamberi. Coprotagonisti due Presidi Slow Food il Capocollo Grecanico e il Caciocavallo di Ciminà. Piatto non facile, neanche per un veterano dei fornelli. Il sapore del gambero lo ha declinato in una partitura perfetta.

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Amatriciana “o quasi”

Altalena tra sapori mediterranei e aromi esotici, invece, il piatto di Nino Rossi. Dall’Aspromonte a Scilla, il titolo. Come ha poi voluto precisare lui stesso, si tratta di “un piatto della transumanza”. Protagonisti il guanciale di bue podolico (Presidio Slow Food) e il gambero crudo, presentati in una zuppetta thai con emulsione di ricci di mare e con fave fresche. Rossi ha poco più di 30anni. Parte dalla cucina di alcuni grandi stellati d’Italia, attraverso stage e corsi, da Niederkofler a Perbellini,da Sultano a Oldani. Fa una lunga tappa al De Gustibus di Sciarrone di Palmi e adesso è lo chef executive di Villa Rossi Country Resort di Santa Cristina d’Aspromonte, e de Il Gabbiano di Scilla.
Dall’Aspromonte a Scilla

A questi due piatti si è abbinato il blend di Malvasia e Sauvignon 2012 di Russo&Longo.

Una dedica alla piana di Sibari e ad una delle sue perle, il riso, è stata l’interpretazione di Orazio Lupia. Ha 26 anni ed è lo chef de la Rosa nel Bicchiere di Soveria Mannelli di proprietà dei Rubbettino. Lo ha lavorato con il baccalà, profumandolo con le scorze d’arancia e conferendoli ulteriore delicatezza attraverso una vellutata di fiori di zucca.
Al risotto è stato abbinato il Ramen 2012 di Tenuta del Castello

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Risotto di Sibari al baccalà

Una ricetta che armonizza le tradizioni al di qua e al di là dello stretto di Messina è la millefoglie di pesce spada creata da Bruno Tassone. L’intensità degli aromi mediterranei è stata domata in una elaborazione equilibrata che ha messo in primo piano, in ex aequo, il pesce spada e la patata silana, pilastro della tradizione culinaria calabrese. Ad amalgamare i titani gastronomici delle due regioni il guazzetto di latte di mandorla su cui la millefoglie è stata servita.

In abbinamento è andato l’Himeros 2011 di Casa Ponziana, rosato di Gaglioppo e Calabrese.

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Millefoglie di pesce spada

Come avviene per tutte le opere teatrali, l’ultimo atto è quello dove si tirano le somme della storia, dove il vortice delle emozioni attende di riequilibrarsi nel gran finale. Il dessert di Gennaro Di Pace, “Gennarì” per gli amici del suo paese, Saracena, immortala il senso di questa jam session di talenti. Il suo aspik di Moscato di Saracena (Presidio Slow Food) fotografa perfettamente l’ambizione della gioventù. Performance di altissima levatura stilistica oltre che pasticcera. Attinge la sua potenza inebriante dal tesoro enologico del territorio del Pollino, il Moscato di Saracena appunto, e da un altro patrimonio di questa zona dell’estremo nord della Calabria, il fico di Belmonte. Un dolce aristocratico e fresco allo stesso tempo sostenuto dalla base delicata della panna cotta e della crema inglese.

Ad accompagnarlo un vino speciale dal cuore grande, il Neda di Casa di Nilla.

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Aspik di Moscato di Saracena

Se le creazioni sono state una forte rivendicazione della “voglia di fare”, altrettanto dirette le loro parole e i consigli che hanno sentito di dare gli chef ai loro coetanei una volta tolto il grembiule, a fine serata. “Sono orgoglioso del lavoro che faccio – dice Luca -. Ma ancora devo imparare. Bisogna affrontare tutte le difficoltà senza mai mollare la presa. Sento di dire ai miei coetanei in cerca di lavoro che questa carriera può dare soddisfazioni se vissuta come un atto di amore e di passione”. Per Bruno Tassone si può avere successo se si crede in questa professione. “Non bisogna mai scoraggiarsi, senza lasciarsi intimorire dal periodo di crisi, ogni giorno va vissuto come un arricchimento dello spritio oltre che come crescita professionale”. Anche Orazio Lupia invita all’umiltà, ad intraprendere il mestiere con l’obiettivo di crescere sempre. “Non si deve mai pensare che si è arrivati, il miglioramento è continuo. E poi si deve pensare al cliente. A mettere a punto la migliore cucina possibile, con la migliore qualità possibile al giusto prezzo, che possa gratificare chi mangia il nostro piatto”. Gennaro di Pace invita a puntare sull’innovazione. “Bisogna svegliarsi – esorta -. Si deve guardare alla tradizione con un occhio all’innovazione. Non è certo facile educare il cliente a tale prospettiva. Bisogna vicolare un nuovo modo di mangiare, di sentire i sapori. Ancora la gente non crede in quello che si propone, guarda la novità con sospetto. Dico poi ai miei coetanei che anche se questo mestiere fa disperare e piangere, come disse l’Artusi, è quello che però regala le emozioni e le soddisfazioni più grandi”.