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Le “orecchie” di Cortale

Arthur John Strutt annotava nel suo diario sul pranzo in casa di un galantuomo di Cortale:

“Abbiamo quindi mangiato pesci di ogni

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specie e tutti squisiti: sardine; uova di tonno a fette e in salamoia; acciughe fresche;

pesce di fiume, bollito, fritto o stufato; anguille o trote degli spumeggianti torrenti montani; e poi verdure preparate nei modi più vari: cavoli ripieni di pesce, aglio e pane grattato, asparagi, piselli e insalate innumerevoli. Ma la vivanda universale adoperata come ingrediente in tutte le pietanze era il formaggio, specie un certo tipo, sciapo, della stessa forma di un uovo di struzzo, e che qui viene adoperato in quasi tutte le pietanze, piccanti o dolci, per arricchire la mensa. E, a proposito di dolci, non dimenticherò una leccornia che costituisce però una eccezione a quanto ho già detto di quel tal formaggio posto dovunque. Il dolce si chiama orecchie, benché non presenti alcuna rassomiglianza con questo organo; si tratta di una pasta di uovo e zucchero, fritta nell’olio e spruzzata di zucchero e miele, niente affatto cattiva, vi posso assicurare. Quanto ai vini, proprio non possiamo lamentarci”.

Giovanni Sole, Antropologo